UN’ALTRA ARGENTINA – Otto anni dopo, è ovviamente un altro Messi ed è sostanzialmente un’altra Argentina. La squadra di Scaloni è arrivata negli Emirati con la consapevolezza che le 35 partite consecutive senza sconfitte e una Copa America in più in bacheca – vinta peraltro proprio in Brasile – hanno fortificato nel tempo. Un extraterrestre come guida spirituale ma soprattutto come ispirazione per tanti compagni di squadra che vivono la loro prima esperienza ai Mondiali e che per il Diez sono pronti a buttarsi nel fuoco. Otamendi e Di Maria rimangono i reduci degli sfortunati cicli precedenti, ma questa volta non ci sono più quei tanti, forse troppi, presunti leader carismatici come Rojo, Mascherano, Higuain e Auguero, che alla prova dei fatti non si sono dimostrati all’altezza del compito. Finendo anzi per credere che bastasse Messi per riportare a casa quel trofeo sollevato per l’ultima volta da Maradona nel 1986.
ALL’ALTEZZA DI DIEGO? – Ecco, gli ultimi Mondiali della carriera di Leo sanno tanto anche di occasione irripetibile per sedersi una volta per tutte di fianco al più grande di tutti. Raggiungere l’Olimpo del calcio ed entrare nel cuore degli argentini come l’unico degno erede dell’inarrivabile Diego. Un anno dopo il traumatico addio al Barcellona, Messi si è finalmente calato nella nuova realtà parigina e, in tandem con l’amico di vecchia data Neymar (più che con l’individualista Mbappé), è tornato a fare quello che ha sempre fatto. Brasile o Argentina, O’ Ney o la Pulga, sembra non si possa scappare da questa sfida nella sfida a proposito del ruolo di principale candidato alla conquista della Coppa più ambita. Ora ci siamo per davvero, sta per scoccare l’ora di Messi.