GdS – Inter, Ausilio: “Il mercato, Lautaro, Lukaku, Thuram, Inzaghi e…”

GdS – Inter, Ausilio: “Il mercato, Lautaro, Lukaku, Thuram, Inzaghi e…”

2023-11-01 11:25:09 Arrivano conferme dalla Gazzetta:

Il ds dell’Inter a Radio TV Serie A: “L’acquisto più difficile è stato Pavard. Inzaghi? Geniale e… pigro, e mai vicino all’esonero. Il sogno è la seconda stella”

“Con Lukaku sono mancate educazione e rispetto. Lautaro? Era dell’Atletico al 99%, ma gliel’ho strappato. La trattativa più difficile? Quella per Pavard”. Piero Ausilio, ospite su Radio TV Serie A con Rds, emittente ufficiale della Lega Serie A, ha parlato a ruota libera della sua esperienza nerazzurra. “I pensieri vanno a tante cose, dalla partita che è stata a quella che sarà. Viviamo a ritmi che non permettono di rilassarti, ma è bello pensare anche a qualcosa di leggero ogni tanto. Il percorso è lungo, di fatica, sacrifici e tante cose, come giusto che sia. Per arrivare al livello dell’Inter attuale si deve passare attraverso un percorso bello, con staff importanti, con una proprietà che ha dato tante motivazioni e ha raccolto un’eredità importante, riuscendo ad essere vincente in pochissimo tempo”.

Che tipo di interista è?

“Cerco di vivere di presente, attraverso lavoro e sacrifici, pensando a come poter dare un contributo per questa società. Ho iniziato 25 anni fa il mio percorso, facendo step che mi hanno formato e reso più forte. Oggi mi sento, anche per l’età che ho, solido, forte e competente per poter dare un contributo per una società così forte”.

“Sono nato per il piacere per il calcio. Ero malato di calcio. Sono nato e cresciuto alla Pro Sesto, ho iniziato la mia carriera da dirigente lì perché ho interrotto la mia carriera da calciatore presto”.

Il primo pianto per l’Inter?

“Non ricordo un pianto particolare. In qualche finale persa non ho pianto, ma un po’ di amarezza è rimasta. Ma già dal giorno dopo c’era voglia di ripartire. L’ultimo trattenuto a Istanbul? Direi di sì”.

Nel 1998 il primo incontro con l’Inter.

“Me lo ricordo perfettamente. Ci fu una trattativa anche lì con il responsabile del settore giovanile di allora. Volevano iniziassi a tempo pieno, ma a me mancava un esame e riuscì a vincere la trattativa per un periodo part time di 6 mesi con 4 ore solo al pomeriggio, che poi si trasformavano sempre in 8-10. Ho passato tantissime serate a Interello con il custode che veniva a darmi un panino, ma non mi è mai pesato. Ricordo la prima partita vera vista allo stadio con lo stemma dell’Inter era la finale di Coppa Uefa al Parco dei Principi Inter-Lazio. L’esordio da direttore sportivo lo ricordo con piacere, fu anche quello fortunato. Moratti mi fece chiamare mentre ero in Brasile, mi disse che voleva seguissi la squadra a Kiev nel 2010: fu decisiva anche per il Triplete. Da lì ho iniziato a seguire la prima squadra”.

Il momento in assoluto più bello?

 “Tantissime cose mi legano al settore giovanile, facemmo cose pazzesche. Abbiamo vinto tanto, la soddisfazione che però ti dà il settore giovanile è veder crescere i ragazzi. Abbiamo vinto tanti scudetti in questi 25 anni, ho dato il mio contributo perché negli anni di Branca mi dava anche grande responsabilità. L’ultimo, quello di Conte, è quello che sento mio al 100%”.

Acquisto di cui va più orgoglioso?

“Sono tanti, tutte storie belle e particolari. Rischierei di fare un torto a qualcuno, ma quella di Lautaro è una storia molto particolare perché di fatto era un giocatore dell’Atletico Madrid. Quando prendi un aereo e vai lì a tentare l’1% in una situazione compromessa al 99% rischi di fare brutta figura, ma furono 4 giorni pazzeschi. Mancava solo l’accordo con l’Atletico, c’era una clausola che per fortuna Lautaro non voleva esercitare e lì facemmo un grande lavoro di squadra. Mi aiutò Zanetti con il suo procuratore, Milito, con il loro durissimo presidente. Una volta chiuso tutto ci fu una partita disastrosa, perché lui fece 3 gol e si procurò un rigore quella sera. Ci sedemmo di nuovo al tavolo il giorno dopo e lo pagammo qualcosa in più, ma riuscimmo a portarlo a casa. Anche a Balotelli mi legano ricordi bellissimi, averlo messo nel calcio che conta: si è giocato la possibilità al 70%”.

La trattativa più complicata?

“Ce ne sono tante. Non è stato facile ad esempio strappare Pavard al Bayern, perché non volevano privarsene. In quella che ti sembra più scontata succede qualcosa a un minuto dalla fine”. 

“Ce ne sono, ma meglio non ricordarli. Voglio fare il nome di Pierluigi Casiraghi, mio secondo padre dal punto di vista sportivo e professionale: vedeva quelli forti prima degli altri. Vide Fabregas a 16 anni, facemmo di tutto per prenderlo ma non ci fu possibilità. Ce ne sono stati tanti altri di giocatori trattati e poi andati da altre parti”.

Qual è stata la più grande delusione della carriera? 

“Delusioni in tanti anni ne hai più di una. Con Lukaku è delusione per come è finita, ma ho rispetto nel cercare di non parlare di un giocatore di un’altra società. Mi piace parlare al presente e al futuro, lui è stato parte del passato dell’Inter. Mi viene da ricordare uno scudetto meraviglioso, una bellissima plusvalenza, vera, e due finali perse”. 

Cosa è successo con Lukaku? Ci racconta la verità?

“Preferisco non parlarne. Dico solo che ci deve essere in tutte le cose educazione e rispetto. A un certo punto, le cose stavano andando avanti, ma sono venute a mancare proprio educazione e rispetto. Se c’è voglia di dirsi le cose negli occhi non c’è mai problema. Quando non si risponde al telefono, ci si nega o si risponda tramite altre persone, allora è il momento di voltare pagina. Da quell’8 luglio è andata così. La telefonata in cui mi sono arrabbiato? Una leggenda. Ci fu questa chiamata dopo vari tentativi, ma è durata poco. Fu decisa, ferma, ma niente di particolare. Dissi ciò che pensavo in poco tempo”.

Lukaku, Samardzic e Skriniar: che estate…

“Sono esperienze, dalle sconfitte sul campo a quelle di mercato. Si impara sempre qualcosa”.

Quante volte è stato oggetto di trattativa?

“E’ successo. Non ho mai avuto la voglia di andar via. Ci sono stati contatti, situazioni, ma mai una negoziazione o parlato di un progetto. Fondamentalmente non ho mai avuto il pensiero di lasciare un club così, è troppo difficile. Ti legano troppe cose, al di là del blasone: è la mia seconda famiglia. Per me è diverso dagli altri. Arriverà il momento in cui un presidente mi dirà che è giusto cambiare e potrò solo dire un enorme grazie”. 

“Una bella coppia, funziona perché c’è rispetto. Lui capisce di calcio, ha anni di esperienza, ma ha una grande qualità: delega e dà fiducia alle persone che ha. Io a mia volta trasmetto lo stesso alle persone che mi sono vicine. Penso che sia intervenuto per dire no su un calciatore un paio di volte in questi 5 anni, ma solo perché magari già conosceva il calciatore o aspetti caratteriali che io non conoscevo. Ti lascia lavorare, poi ci si confronta. Permette al direttore sportivo di concentrarsi proprio sul suo lavoro, perché io non ho tempo e voglia di concentrarmi sui rapporti, la comunicazione e altro. Mi concentro sull’allenatore, calciatori e incontri con gli agenti con un’attenzione al 100%, senza perdere concentrazione in cose che non sono mie”.

“Bella coppia, ma mi piace parlare di quartetto. Loro stanno funzionando benissimo, ma abbiamo anche Sanchez e Arnautovic, che ci farà vedere cosa può dare”.

La prima volta che ha notato Thuram?

“Dopo la cessione di Lukaku al Chelsea. Non sapeva neanche di essere una prima punta. Venne preso Dzeko a 0 dalla Roma, ma ci mancava il secondo attaccante per completare il reparto con Lautaro. Era il prescelto, ma si infortunò: avevo già parlato con lui e il papà, la negoziazione andava avanti spedita anche grazie a Mino Raiola, che approfitto per ricordare. Avevamo quasi definito tutto, ma la domenica precedente l’incontro definitivo si fece male al ginocchio e dovemmo cambiare obiettivo. Quegli incontri furono la base. Fui il primo a dire a Lilian che suo figlio poteva diventare attaccante centrale, me lo ha ricordato l’altro giorno. Il nostro progetto era finalizzato e mirato su di lui, il vantaggio ce lo siamo presi”.

La sostituzione di Onana con Sommer?

“Portieri diversi, ma avevamo bisogno di certezze perchè avevamo perso anche Handanovic. Avevamo già deciso di cambiare dopo tanti anni, ma c’è un progetto su Samir e resterà a darci una mano nei prossimi due anni. Volevamo a quel punto qualcosa di certo e che fosse pronto da subito: si poteva puntare su portieri più giovani, ma Sommer era ciò di cui avevamo bisogno. Si era già preoccupato di imparare l’italiano durante la trattativa, è un professionista pazzesco”.

Come è cambiato il mercato in questi anni? 

“Tantissimo, come la posizione delle italiane rispetto alle altre. Le italiane possono fare investimenti, ma sempre con una certa attenzione e senza fare follie. In giro per il mondo ci sono club che hanno più risorse e questa differenza la senti, ma noi siamo bravi perché riusciamo sempre a trovare situazioni più economiche o ad anticipare il mercato, anche recuperando da club più forti giocatori che non si sono affermati al 100%, recuperandoli e portandoli a livelli consoni alle loro qualità. In Inghilterra si trovano situazioni interessanti”. 

Gli agenti stanno esagerando?

“Parlerei sempre a livello soggettivo, senza generalizzare. Ci sono agenti che sono anche di aiuto alle società e alcuni solo interessati al proprio portafoglio, perdendo di vista interessi un po’ più completi. Lavoro con tanti, ne ho conosciuti tantissimi: alcuni li considero meno e tanti di più. Questo lo puoi fare con l’esperienza”. 

“Sì, anche se non li ricordo tutti. Il prossimo? Una cosa non molto distante, ovviamente sportivo, ma chiede lavoro, forza e continuità. Mi piacerebbe arrivare alla seconda stella che è lì, lottano anche gli altri. Importante lottare fino alla fine, se qualcuno sarà più bravo gli stringeremo la mano”.

A Istanbul non sembravate tanto lontani.

“Lo sembravamo più prima di giocarla. Durante la partita siamo sembrati molto forti e competitivi, ce la siamo giocata alla pari con la squadra più forte del mondo. Siamo ambiziosi, pur consapevoli che ci sono squadre più attrezzate di noi. Vogliamo vendere cara la pelle a tutti. So dove siamo partiti: all’inizio del percorso di Suning eravamo forse dietro al cinquantesimo posto nel ranking, ora siamo tra il settimo e l’ottavo. Forse questo ci darà possibilità di partecipare al Mondiale per club e manca poco, ora pensiamo a centrare la qualificazione agli ottavi”.

“Semplicità, umile, geniale e pigro. È uno dei più simpatici conosciuti nel mondo del calcio, ma ha una sua routine, esigenze che non sposti neanche con le cannonate. È geniale, ha talento ed è ancora giovane. Ha buon gusto per il calcio giocato di qualità e fa star bene tutti. Ha creato un bel gruppo e si vede, i risultati non sono solo frutto della prestazione, ma anche di star bene insieme e di voler condividere tempo e spazi”.

Quanto è stato vicino l’esonero?

“Mai. Sono strasincero, non è nella cultura di Zhang e Marotta. Marotta credo non abbia mai esonerato un allenatore in 40 anni di calcio, men che meno io. Era un momento di difficoltà, ma sapevamo che serviva la forza dell’unità e anche che fossero spronati, pungolati, con la giusta attenzione alle cose che non andavano. Siamo stati tutti bravi a venirne fuori e a iniziare il cammino pazzesco degli ultimi due mesi che ci ha portato alla qualificazione in Champions, alla finale di Coppa Italia e a Istanbul. Esonero mai preso in considerazione, non è nella cultura dei dirigenti dell’Inter”.





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